In Bulgaria i comunisti hanno perseguitato i cattolici e tutti i cristiani. La persecuzione aveva come bersaglio principale quelli che erano considerati doppiamente corpi estranei: prima perché credenti e poi perché legati a un potere straniero. Cioè i cattolici. Quasi subito, dopo l’inizio del regime, tutti i religiosi e le religiose straniere furono espulsi dal paese. Dopo i decreti emanati dalla Santa Sede nel 1949 contro i comunisti, ci fu una riunione a Mosca per decidere una grande ondata di persecuzione che portò al grande processo pubblico del 1952 contro esponenti cattolici accusati di essere spie degli stranieri. Una cosa assurda: già allora i cattolici erano emarginati e tutto era monopolizzato dal Partito comunista. Il processo finì con la condanna di alcuni sacerdoti e laici a lunghi periodi di prigione, e con la condanna a morte del vescovo passionista Mons. Bossilkov e di tre sacerdoti assunzionisti. Per tutti e tre venne emessa la sentenza di morte il 3 ottobre 1952 e vennero fucilati nella notte tra l'11 e il 12 novembre 1952 a Sofia. Fino ad oggi non si sa in quale posto nel cimitero di Sofia siano stati sepolti.
I comunisti poi confiscarono tutti i beni della Chiesa, lasciando appena due o tre piccoli chiese, un vescovo e qualche sacerdote, completamente sorvegliati. Ciò serviva a mostrare che in Bulgaria c’era libertà di culto.
Bisogna ricordare che anche per gli Ortodossi la situazione sotto il comunismo fu difficile: i giovani venivano impediti di entrare nelle funzioni religiose da cordoni di agenti del Partito, oppure venivano schedati, molti sacerdoti vennero imprigionati o perseguitati. Da un posizione di totale ateismo iniziale si passò a un tentativo di appropriazione della Chiesa ortodossa. Negli anni 50 permisero la creazione di un Patriarcato autocefalo, con un patriarca del loro gradimento. Anche la Chiesa Evangelica e le altre confessioni cristiane hanno testimoniato una grande fede durante la persecuzione nei loro confronti.